Se Facebook non ci aiuta più a riconoscere i veri amici
Scritto da Miriam Candurro il 28. Febbraio 2019
Qui e ora
di MIRIAM CANDURRO
Sono stata una delle prime, in Italia, ad avere un profilo Facebook. Era il 2007, avevo avuto una soffiata da un mio amico che viveva in America e, incuriosita, mi ero iscritta.
All’inizio non ne avevo intuito la portata, ma ricordo l’emozione di ricevere, nei mesi successivi, richieste di amicizia da persone che conoscevo e che non vedevo da anni, delle quali non sapevo più nulla. Piano piano, col passare del tempo, ritrovavo i miei compagni di scuola delle elementari, gli amici d’infanzia, quelli delle vacanze al mare, chiunque arrivasse nella “piazza” di quel social.
Sembrava un ritrovo reale, un’attesa degna della famosa battuta di Peppino a Milano “sediamoci qui, quella qua passa”. Prima o poi tutti sarebbero passati per Facebook , era solo una questione di tempo. Nell’idea di Zuckerberg, Facebook era un social che guardava al futuro, che permetteva agli studenti di Harvard di non perdersi negli anni a venire. Per noi aveva invece avuto un effetto retroattivo, aveva messo in atto l’operazione “nostalgia”. Avevi di nuovo accesso alla vita di chi, negli anni e per colpa del destino, avevi perso.
L’operazione nostalgia iniziata sui social spesso, poi, passava alla vita reale, con cene di ritrovo e rimpatriate.
Poi, inesorabilmente, qualcosa è cambiato. Oggi, mentre si festeggiano i 15 anni dalla nascita di Facebook, il social che aveva permesso di ritrovare gli altri sta mettendo in atto il processo contrario. Crediamo di conoscere tutto dei nostri “amici”, che ormai vediamo quotidianamente. Eppure, quello che leggiamo sulla loro pagina, o le foto che vengono selezionate per noi nella home, la maggior parte delle volte non rappresentano più la vera vita, ma solo ed esclusivamente ciò che gli altri hanno ormai deciso di farci vedere. Così sempre più spesso dimentichiamo, immaginando di sapere già la risposta, la domanda alla base di ogni rapporto umano: “E tu, come stai?”.
Crediamo di sapere come stanno i nostri “amici”, ma è davvero così?